Kimchi, il piatto fermentato coreano che aiuta l’intestino

Il mondo dell’alimentazione asiatica riserva sorprese non soltanto per il palato ma anche per la protezione della salute. Un esempio è il kimchi, un piatto a base di verdure fermentate della cucina coreana.

I vegetali sono fermentati da probiotici, cioè da batteri in grado potenzialmente di arricchire il microbiota intestinale e influenzarlo in modo positivo. In particolare, una ricerca diffusa dalla rivista Food & Nutrition Research attribuisce alla pietanza la capacità di migliorare i sintomi dell’intestino irritabile. Attenzione, però: non si parla di una cura fai da te, ma di uno studio i cui risultati vanno poi interpretati. Dev’essere il gastroenterologo a suggerire una terapia individuale anche in base ai sintomi che il paziente lamenta.
Detto ciò, il kimchi è al centro della curiosità scientifica così come tutti gli altri cibi fermentati, dal kefir allo yogurt.

Il kimchi: che cos’è?

Del kimchi esistono svariate versioni, a seconda del tipo di vegetale scelto per la fermentazione (ravanelli coreani o cavoli) e in genere è utilizzato come base per cucinare altre preparazioni tipiche. Per la fermentazione viene usata una miscela di bacilli come il Bacillus subtilis a lattobacilli come il Lactobacillus brevis o il Lactobacillus plantarum.
Il Baechu kimchi è la varietà più comune e il suo ingrediente principale è il cavolo. Prevede spezie, come aglio, peperoncino e zenzero, e l’eventuale aggiunta di pesce salato. Rappresenta un’autentica prelibatezza dal gusto intenso e proprio per questa peculiarità sarebbe opportuno non abusarne, perché – come raccomanda Maria Rescigno, vicerettrice a Milano di Humanitas University, nel libro Microbiota – Arma segreta del sistema immunitario (Vallardi) – può risultare così sapido da alterare, in quantità eccessive l’equilibrio idrosalino corporeo. Del resto, vale sempre il motto latino est modus in rebus, soprattutto a tavola.

Le proprietà del cibo fermentato coreano 

Cautele a parte, il kimchi resta un campione dell’identità coreana, tanto che l’UNESCO ha collocato la pietanza nella lista dei patrimoni culturali intangibili dell’umanità. E molti non esitano a definirlo un superfood per le qualità benefiche: contiene vitamina C, minerali, sostanze fitochimiche come il carotene, fibre alimentari e, soprattutto, un mix di bacilli probiotici che a loro volta rilasciano nel prodotto i metaboliti o postbiotici, altri composti utili per la salute. 
Si studiano le proprietà antiossidanti e persino antitumorali del kimchi.

Lo studio su kimchi e intestino irritabile

La ricerca su Food & Nutrition Research, firmata da un team di scienziati coreani, mostra che il kimchi potrebbe migliorare la sindrome dell’intestino irritabile.
Lo studio è randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo: in parole povere, significa che si tratta di un’indagine clinica rigorosa e precisa. Riguarda un disturbo funzionale diffuso, i cui disagi ricorrenti sono: gonfiore della pancia, crampi addominali, stitichezza o diarrea. Ma la loro presenza ed entità variano da persona a persona e anche nello stesso individuo in momenti diversi della sua esistenza. 
Ebbene, durante il periodo di studio di 12 settimane, è stato possibile osservare nei 90 soggetti esaminati che il consumo di kimchi (ne sono stati testati tre tipi) aiuta ad alleviare la sintomatologia intestinale. Il chiaro beneficio clinico è statpo attribuito sia alla presenza di batteri probiotici sia alla fibra alimentare delle verdure che funge da prebiotico, ossia nutrimento per i batteri del microbiota alleati della salute. i ricercatori hanno avuto modo di riconoscere l’intervento di due fattori.

Il potere del kimchi sulla risposta infiammatoria

I risultati mostrano che mangiare kimchi riduce i livelli nel sangue delle citochine infiammatorie. Quello che gli autori dello studio hanno riscontrato è stato un generale miglioramento dell’assetto immunitario. In particolare, nel sangue dei soggetti coinvolti si è ridotto significativamente il livello del Fattore di necrosi tumorale, citochina che entra in gioco nei processi infiammatori del nostro organismo. Si sono alquanto abbassate anche alcune interleuchine (nella fattispecie la IL-4, la IL-10 e la IL-12), che sono molecole proteiche coinvolte nei meccanismi di comunicazione e regolazione del sistema immunitario. 
Ma non è finita: le attività della beta-glucosidasi e della beta-glucuronidasi, due sostanze enzimatiche fecali dannose perché produttrici di tossine e agenti cancerogeni, sono diminuite in tutti i 90 pazienti arruolati. Infine, la maggior parte delle persone ha mostrato, in seno al microbiota, una crescita positiva di certi favorevoli stipiti batterici.

Redazione Nutrivel