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Il trapianto di microbiota contro l’obesità
E se fosse il microbiota a farci vincere la battaglia contro l’obesità? Non più diete drastiche o interventi di chirurgia bariatrica ma un trapianto di microbi da un individuo magro a una persona con molti chili da perdere.
Dimagrire grazie a una donazione di batteri sembra un’idea da fantascienza, ma il trapianto di microbiota fecale è uno dei trattamenti su cui più punta la ricerca biomedica per curare una serie di patologie (come si legge in una revisione del 2019 di altri studi scientifici). Tra queste l’obesità, che sembrerebbe avere a che fare anche con la disbiosi, ossia un’alterazione del microbiota intestinale.
Gli studi su obesità e disbiosi
Gli studi indicano che la comunità di microbi dell’intestino avrebbe la capacità di influenzare l’andamento del peso corporeo. Per esempio, di recente alcune ricerche hanno mostrato che un batterio, l’Akkermansia muciniphila, giocherebbe un certo ruolo nel combattere l’obesità. Al contrario, altri batteri avrebbero la facoltà di estrarre e trasferire in chi li ospita le calorie contenute in un certo alimento, con conseguente accumulo di tessuto adiposo.
I dati hanno rivelato che gli individui magri hanno una composizione del microbiota intestinale del tutto diversa da quella osservata nelle persone con obesità. Come dire: una disbiosi può creare una maggiore propensione ad accumulare grasso. Senza poi contare l’intervento del microbiota intestinale nel regolare i livelli del colesterolo circolante e quindi la possibilità di modulare terapeuticamente questo comparto biologico per arginare l’ipercolesterolemia.
Dimagrire con un trapianto di microbi
Alla luce di queste acquisizioni, proliferano nella letteratura medico-scientifica le sperimentazioni cliniche che stanno testando il trapianto di microbiota fecale come arma nel trattamento dell’obesità: lo dimostra, per esempio, la ricerca pubblicata su Nature Medicine che ha abbinato il trapianto di microbiota fecale a un’integrazione alimentare a base di fibre prebiotiche per migliorare la sensibilità all’insulina nei pazienti con obesità grave e sindrome metabolica.
Che cosa è il trapianto di microbiota fecale
Nel loro complesso, i trilioni di microbi che vivono nell’intestino umano e che in gergo si definiscono flora batterica, costituiscono una sorta di organo del corpo, un organo invisibile che attraverso molteplici meccanismi fisiologici contribuisce a garantire il corretto funzionamento del corpo. E allora c’è chi ha pensato giustamente che anche il microbiota, come altri organi trapiantabili, potesse essere trasferito da un individuo all’altro.
Trapianto di microbiota fecale significa allestire un preparato a partire dal materiale fecale di un donatore sano, attraverso sofisticate procedure microbiologiche di purificazione delle feci, e trasferirlo nell’intestino di un paziente, che potrà assumerlo sia sotto forma di compresse per via orale sia in sede di colonscopia. FMT è l’acronimo inglese, usato dagli scienziati, con le iniziali di Fecal Microbiota Transplant.
Come si fa il trapianto di microbiota
C’è da dire che «il trapianto delle feci è un processo molto complesso, equiparato al trapianto d’organo, anche perché selezionare i donatori è molto complicato», si legge nel libro Microbiota, scritto da Maria Rescigno, prorettrice alla ricerca di Humanitas University. «È infatti doveroso assicurarsi che il donatore non ospiti microrganismi potenzialmente dannosi o antibiotico-resistenti». Quindi il materiale fecale di ogni singolo donatore è sottoposto a rigide analisi per valutarne la sicurezza. E questo «è abbastanza oneroso dal punto di vista sia tecnologico sia economico, e sono quindi pochi i centri che al momento sono in grado di farlo».
Si cura già un’infezione resistente agli antibiotici
Il trapianto di microbiota fecale si è già dimostrato utile in pazienti con infezioni da Clostridium difficile, batterio pericoloso perché resistente agli antibiotici. Stiamo parlando di un disagio severo, riottoso alle terapie standard, tipicamente associato a una disbiosi: molto spesso insorge in seguito alle scriteriate assunzioni di antibiotici (specialmente se ad ampio spettro) e può scatenare una colite grave, con diarrea, soprattutto negli anziani ricoverati in ospedale.
«Ci possono essere però anche effetti collaterali», scrive Rescigno. «Per esempio, in un caso è accaduto che un paziente sia guarito dal Clostridium difficile ma in compenso sia ingrassato considerevolmente; questo perché il microbiota trapiantato era stato isolato da un donatore tendente all’obesità e dunque abituato a usare i grassi come fonte di energia».
Terapia per intestino irritabile e depressione?
Ci sono molti fattori da considerare, ma le ambizioni di cura con il trapianto di microbiota fecale sono molte. Gli esperti ritengono che la procedura potrebbe offrire una valida chance terapeutica a un vasto ventaglio di situazioni patologiche, come le malattie infiammatorie croniche intestinali (quali la malattia di Crohn e la rettocolite ulcerosa), la sindrome dell’intestino irritabile, la sclerosi multipla e perfino la depressione.
Come si legge nel libro dell’immunologo Carlo Selmi, Fortissime (Piemme), «conoscere il microbiota e il modo in cui influenza la malattia e interagisce con essa può permetterci di trasformarlo in una sorta di cavallo di Troia per combattere la patologia dall’interno, inducendo modificazioni così sostanziali da cambiare il corso della malattia».

Utilità del trapianto nella sindrome metabolica
Il trapianto microbico fecale da donatori magri a pazienti con obesità è stato associato a una serie di effetti benefici che vanno a migliorare il profilo metabolico individuale. Ecco perché potrebbe un domani rivelarsi un’ulteriore carta da giocare nell’eterna partita contro l’accumulo patologico di grasso corporeo, una specie di epidemia mondiale. Uno studio retrospettivo, che ha analizzato i dati di 68,5 milioni di persone, ha rivelato che la prevalenza dell’obesità è raddoppiata in più di 70 Paesi dal 1980.
È l’Indice di Massa Corporea il valore che fotografa la nostra situazione in termini di peso. L’IMC deriva dal rapporto ottenuto tra quanto pesiamo e la nostra altezza elevata al quadrato. Mettiamo che una persona pesi 75 kg e sia alta 1,80 m; il calcolo sarà: 75 / (1,80 X 1,80) = 75 / 3,24 = 23,1 (kg/m2). Per cui: a quanti chili si è obesi? Ecco come vengono classificati i vari gradi di peso nella popolazione adulta secondo una griglia fissata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità:
IMC inferiore a 18,5 = sottopeso;
IMC compreso tra 18,5 e 24,99 = peso nella norma;
IMC compreso tra 25 e 29,99 = sovrappeso;
IMC 30 = obeso (esistono poi ulteriori segmentazioni a partire dal valore 30 che definiscono i diversi livelli di obesità, fino a superare quota 40 che indica l’obesità di III grado).
Quando, invece, parliamo di sindrome metabolica ci riferiamo a un quadro clinico complesso, contrassegnato dalla presenza simultanea di diverse alterazioni: la pressione arteriosa elevata, la glicemia alta, i grassi nel sangue aumentati, il giro vita ingrandito, il colesterolo «buono», HDL, basso. Insomma, un mix di fattori che espone la persona a un un accresciuto rischio di sviluppare malattie cardio-cerebrovascolari e diabete.
Il trapianto di microbiota fecale potrebbe aiutare sia in caso di obesità sia in caso di sindrome metabolica, ma bisognerà aspettare risultati solidi dalle sperimentazioni prima di immaginare che possa diventare una procedura standard.
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