Il microbiota sano combatte l’antibiotico-resistenza

Più verdure per un microbiota sano, che a sua volta aiuterà a contrastare il dilagare di quel fenomeno preoccupante e in crescita che è l’antibiotico-resistenza. Le ultime ricerche suggeriscono che la lotta alla piaga sanitaria possa cominciare con la prevenzione a tavola.

Che cos’è l’antibiotico-resistenza

«Oggi l’antibiotico-resistenza è uno dei principali problemi di sanità pubblica a livello mondiale», dicono gli esperti dell’Istituto superiore di sanità. In una potente sintesi, si tratta di un fenomeno biologico per colpa del quale certi germi acquisiscono la capacità di sopravvivere o di svilupparsi in presenza di concentrazioni di farmaci antibiotici normalmente sufficienti a imbrigliare i microrganismi della stessa specie.
Funziona così: alcuni membri di una popolazione batterica possono sfuggire al bombardamento farmacologico; col tempo i sopravvissuti allo sterminio crescono e si moltiplicano, trasferendo ai discendenti l’acquisita capacità di tenere testa al farmaco killer, generando alla fine un ceppo di batteri invulnerabile a quel certo antibiotico. È né più né meno la storia della selezione naturale: nella lotta per l’esistenza prevalgono gli individui più tosti.
Il naturale processo evolutivo appena descritto genera numeri inquietanti: si stima che annualmente si perdano fino a 50 mila vite a causa delle infezioni resistenti agli antibiotici solo in Europa e negli Stati Uniti. A livello globale, almeno 700 mila sono i decessi ogni anno per questa dannata resistenza alle cure farmacologiche.
Sul banco degli imputati figura l’impiego eccessivo o non adeguato degli antibiotici, sia in ambito umano sia in campo veterinario, come pure in agricoltura. Un uso scriteriato che agevola l’insorgenza e la diffusione di ceppi batterici riottosi. Duri a morire.

La dieta ricca di fibre per il nostro microbiota

Ci si chiederà: ma che c’entra l’antibiotico-resistenza con l’universo del microbiota? C’entra eccome, perché è l’uomo stesso, con i suoi stili di vita non corretti, a favorire il fenomeno della resistenza nei microbi che vivono dentro e su di noi.
La dieta sa essere uno strumento formidabile per modellare, per addomesticare, diciamo così, il microbiota intestinale umano e può rivelarsi una strategia ottimale capace di arginare la resistenza microbica agli antibiotici. Ci ha pensato la ricerca di un team di studiosi californiani a fotografare la faccenda, con risutati suggestivi. Analizzando un campione di individui sani, è stato possibile rilevare una variabilità significativa nei loro resistomi: con questa parola apparentemente arcana gli addetti ai lavori indicano quelle peculiari caratteristiche genetiche che possono consentire a certi microrganismi di sopravvivere agli assalti di un antibiotico.
Si è visto così che la diversità nei geni di resistenza agli antibiotici (per definirli collettivamente si ricorre alla sigla anglosassone ARG, che sta per Antimibiotic Resistance Genes) risulta associata alla varietà della dieta e del microbiota. In particolare, è emerso chiaramente come gli individui portatori di un quantitativo inferiore di questi geni seguano regimi alimentari più variegati e maggiormente ricchi di fibre, e anche contrassegnati da un consumo ridotto di proteine animali. 

Alimentazione varia per abbattere le resistenze ai farmaci

Già: il resistoma umano varia, in parte, in funzione dello stile di vita. Tant’è che il profilo dei geni resistenti agli antibiotici nelle popolazioni industrializzate è significativamente differente se paragonato a quello dei popoli non industrializzati. E una spiegazione per queste disparità potrebbe risiedere proprio nelle diseguaglianze esistenti a tavola.
I mutamenti dietetici avvenuti in concomitanza con l’industrializzazione possono aver generato una serie di trasformazioni in seno al microbiota, ampliando la nicchia dei batteri resistenti agli antibiotici. Per esempio, spiegano i ricercatori, il basso apporto di fibre alimentari ─ un tratto distintivo nelle abitudini alimentari dei Paesi industrializzati ─ va a ridurre l’apporto di materia prima buona e nutriente, ossia prebiotica, ai microbi intestinali, il cui assetto, in termini di composizione e varietà, finisce in questo modo per modificarsi.
Sono dati di grandissima rilevanza. Si sta in pratica suggerendo una politica salutistica dalle ricadute positive enormi: le diete ad alto contenuto di fibra alimentare possono contribure a forgiare comunità microbiche intrinsecamente più povere di geni resistenti agli antibiotici, alleggerendo un onere immenso per i sistemi sanitari di tutto il mondo.

Redazione Nutrivel