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Il microbiota detta la voglia di dolci
Gli scienziati hanno scoperto che nella voglia di mangiare dolci può esserci lo zampino del microbiota intestinale.
Lo mostra una recentissima ricerca pubblicata sulla rivista Current Biology e realizzata da un team di studiosi del California Institute of Technology.
La fame reale e la fame nervosa
Una premessa è doverosa. Noi avvertiamo il bisogno d’incamerare cibo quando il tratto gastrointestinale e il tessuto adiposo, avvertendo che è il momento di fornire energia necessaria al funzionamento degli organi, inviano segnali ormonali ai centri cerebrali che governano la fame e la sazietà. Capita spesso, però, che ci assalga la voglia di mangiare alimenti particolarmente ghiotti e il motivo non è dettato dal puro appetito, bensì dal desiderio di soddisfare, come dire, una desiderio che si fa soprattutto sentire quando abbiamo la luna storta. C’è insomma, una fame reale, dettata dalla carenza, che si manifesta gradualmente e cresce a poco a poco, e una fame detta nervosa, che si accende all’improvviso e colpisce in un attimo, come un’urgenza che travolge. Ebbene, pare che in quest’ultima fenomenologia sia direttamente coinvolto anche il microbiota.

Un brillante esperimento sui topi
Per dimostrarlo, gli scienziati del Caltech hanno siglato un esperimento brillante. In pratica, hanno sottoposto una popolazione di roditori a una miscela di antibiotici orali per quattro settimane, così da resettare la flora batterica commensale nel loro intestino, causandone in definitiva un esaurimento quasi completo. Dopodiché è stato concesso agli animali il libero accesso a un distributore di cibo ad alto contenuto di saccarosio e confrontato il loro comportamento alimentare con quello dei topi con un patrimonio microbiotico sano.
Sorpresa: i roditori trattati a suon di antibiotici hanno consumato il 50% in più di “bocconi” ipercalorici in un paio di ore e mangiato a raffiche più protratte rispetto alle controparti normali! Di più: quando le leccornie non erano gratuite, diciamo, ma richiedevano uno sforzo fisico per ottenerle, ossia la pressione di un pulsante, i topi sottoposti al bombardamento antibiotico s’incaponivano assai più degli altri nel pigiare ripetutamente il tasto, alla caparbia ricerca dello snack gustoso. Ovvero: i topi impoveriti del proprio microbiota mostravano una spiccata, testarda motivazione a raggiungere il premio alimentare.
Manipolare il microbiota per controllarsi a tavola
Lo studio consente di trarre conclusioni relativamente al microbiota del topo, ma schiude nuovi filoni di ricerca per capire come e perché certe volte siamo spinti a consumare iperdosi di snack zuccherati.
L’altro aspetto interessante è che è bastato un trapianto fecale, ossia l’infusione di un campione fecale con tutti i batteri sani in esso contenuti, nell’ambiente microbico dei topi trattati con antibiotici, per ripristinare un comportamento alimentare controllato.
«Sarebbe davvero interessante appurare se le persone reduci da un trattamento antibiotico mostrano anomalie nel loro schemi alimentari e nelle scelte dietetiche, e analizzare il ruolo del microbiota intestinale di fronte a queste differenze», ha commentato James Ousey, ricercatore del Caltech.
È innegabile: il riconoscimento che i comportamenti alimentari possono dipendere anche dalla composizione del nostro microbiota, delinea affascinanti implicazioni nello studio e nella cura di quella epidemia globale che si chiama obesità.
