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Cibi e bevande fermentati, pilastri delle diete di tutto il mondo

I cibi e le bevande fermentati sono una scoperta moderna della scienza, di pari passo agli studi sul microbiota e sull’influenza che esercita sulla nostra salute, ma in verità costituiscono un ritorno al passato.

Si stima che già diecimila anni fa la fermentazione fosse una pratica comune per preservare, visto che i frigoriferi non esistevano, vivande a base di latte, frutta, riso o miele.
In una esaustiva revisione, pubblicata sulla rivista Microorganisms e firmata da un team di ricercatori messicani (della Universidad Popular Autónoma del Estado de Puebla), si legge che appartiene all’ambieto dei fermentati tra il 5% e il 40% di tutto il cibo consumato dagli esseri umani. Dunque, uno dei pilastri delle diete di tutto il mondo. 

Un arricchimento del microbiota

Nella maggior parte dei casi, per ogni grammo di cibo o di bevanda si trova oltre un milione di batteri, che in teoria possono andare ad arricchire il microbiota. I microbi sono tantissimi e riescono a scampare agli acidi della prima parte della digestione anche perché la componente alimentare fa da scudo contro i succhi gastrici. Quando i batteri arrivano vivi nell’intestino, possono svolgere la funzione di probiotici, cioè di piccoli impiegati al servizio del nostro benessere. Non solo: ci sono i prodotti della fermentazione, detti metaboliti o postbiotici, che hanno effetti benefici di per sé sulla salute cardiovascolare, sul metabolismo e sulla regolazione del sistema nervoso e immunitario. 

Il giro del mondo a tavola

Gustare cibi fermentati è come fare il giro del mondo a tavola. Ecco una scelta che si evince dalla revisione dei ricercatori messicani:

1) il kefir, che nasce fra le tribù delle montagne caucasiche come latte fermentato, dal gusto acidulo e dalla consistenza cremosa, e che da noi si trova anche d’acqua,

2) i crauti, tipici della Germania, e le altre verdure fermentate (dai cavoli alle carote, dai peperoni alle zucchine, conservati in salamoia, cioè in acqua e sale); 

3) il miso giapponese, il composto che deriva dalla soia fermentata e che viene usato per la zuppa di miso;

4) il tempeh, che fa parte della cultura indonesiana ed è ottenuto dalla fermentazione dei semi di soia gialla bolliti, da cui si ricava un panetto-bistecca;

5) la kombucha, un tè fermentato dal gusto acidulo, frizzantino, originario del nord della Cina e oggi diffuso in Russia e nell’Europa dell’Est; 

6) il chungkookjang, una pietanza coreana a base di soia; 

7) il natto, altro piatto tradizionale nipponico prodotto attraverso la fermentazione dei fagioli di soia; 

8) il kimchi, un fermentato della cucina coreana a base di verdure, speziato; 

9) il surströmming della gastronomia svedese, in pratica l’aringa fermentata;

10) l’ogi, preparazione fermentata nigeriana a base di cereali (come il mais, il miglio o il sorgo); 

11) l’iru, ovvero carrube africane fermentate; 

12) il garri, che deriva dalla fermentazione della radice di manioca, uno degli alimenti base della cucina dell’Africa occidentale.

Gli studi in crescita sui prodotti fermentati

Il punto è che qui non si tratta di aggiungere un tocco esotico alla propria tabella alimentare: la posta in gioco non è la semplice esaltazione dei gusti a tavola ma il mantenimento del peso corporeo, la riduzione del rischio di subire una malattia cardiovascolare, il miglioramento dei livelli del glucosio e dei lipidi nel sangue, la regolarità delle funzioni intestinali, l’adeguata stimolazione e modulazione del sistema immunitario, il mantenimento del benessere cerebrale e persino la prevenzione oncologica.
I dati disponibili allo stato attuale sono eloquenti. Per esempio, il chungkookjang ha dimostrato di sortire chiari miglioramenti sulla percentuale del grasso corporeo nei pazienti alle prese con l’obesità. Il kimchi invece ha saputo ottimizzare la pressione sanguigna e pure la resistenza all’insulina, quella condizione per cui le nostre cellule risultano meno sensibili all’azione dell’ormone pancreatico e di conseguenza meno capaci di smaltire il glucosio circolante.
L’Africa, poi, è terra dove il consumo dei cibi fermentati è storicamente una tradizione radicata. I lattobacilli e i bifidobatteri presenti in ogi, iru e garri si sono rivelati in grado di ridurre la colesterolemia totale e la sua quota detta cattiva, LDL, innalzando invece la controparte “buona” HDL. 

I benefici per la salute dell’alimentazione fermentata

Gli autori della ricerca universitaria messicana concludono così la loro meta-analisi: «I cibi e le bevande tradizionali fermentate sono utili e possono venire impiegati come un nuovo strumento nei piani di trattamento di diverse malattie croniche. Se consumati in quantità adeguate, sanno garantire vantaggi per la salute in presenza di malattie cardiovascolari, diabete di tipo 2 e obesità».
Un mix di azioni virtuose caratterizza le performance degli alimenti sottoposti ai processi fermentativi, quali l’inibizione della crescita degli agenti potenzialmente patogeni, l’impatto sulle risposte immunitarie, la salvaguardia dell’integrità della barriera intestinale, l’interazione fruttuosa con il microbiota intestinale e poi l’influenza positiva sui parametri del metabolismo generale.

Redazione Nutrivel